Il suo pensiero politico - 4°
Ne La bestia elettiva troviamo riferimenti ai temi della Zur Genealogie der Moral (Genealogia della morale) del 1887, come ad esempio nell’origine del termine buono da identificarsi con nobile di spirito, temi utilizzati da d’Annunzio per denunciare lo stato di decadenza etica e politica dell’Italia. Contemporaneamente il poeta auspica la nascita di una nuova aristocrazia, che deve trarre la propria ispirazione dall’energia pura della volontà, una nuova élite sociale in grado di restaurare il sentimento di potenza e di esercitare la sua forza. È proprio quest’ultima a essere esaltata in questo articolo dannunziano, essa è destinata a dominare sulle masse, le quali non meriterebbero altro destino. È come se d’Annunzio trovasse nelle opere di Nietzsche le proprie idee, concepite fino ad allora solo vagamente, esposte invece ora con chiarezza e con quella base filosofica che a lui manca. D’Annunzio quindi recepisce l’ideologia nietzscheana rielaborandola e riuscendo a trarne un proprio pensiero, grazie anche alla sua ‘all’attitudine’ al superomismo. Come dirà direttamente il poeta, egli contiene già in sé in nuce alcuni tratti del superuomo, fin dai tempi di Canto Novo (1882). In una lettera del 23 ottobre 1895 a Vincenzo Morello, d’Annunzio afferma Se tu ti ricordi certe odi del Canto Novo, convieni con me che là sono i germi dell’idea di potenza e di predominio, i quali si svilupperanno in Cantelmo [protagonista de Le Vergini delle rocce] con un resultato di pura poesia e in Stelio Effrena [protagonista de Il Fuoco] con un resultato di azione e di elevazione. Tale connaturazione dell’ideologia superomistica in d’Annunzio è naturalmente evidenziata dai diversi studiosi che hanno ‘affrontato’ la personalità dannunziana. Come il tedesco Mosse, secondo il quale il poeta si ritenne capace di qualsiasi impresa molto prima di aver letto Nietzsche ”Io assisteva in me medesimo alla continua genesi d’una vita superiore in cui tutte le apparenze si trasfigurano come nella virtù di un magico specchio.” Questa vita più bella era dominata dal mito e dal simbolo, con
lui al centro. Come Gatti, che nella sua biografia dannunziana dichiara come il poeta non avesse avuto bisogno di attingere alla teoria nietzschiana del superuomo, perché quella teoria era già sua, (…). Tipica di d’Annunzio è infatti fin dall’adolescenza la forte volontà di emergere, di vincere, superarsi e superare, senza sentirsi obbligato a seguire una qualsiasi legge d’ordine: già dalla giovinezza quindi si presenta come un possibile prototipo del superuomo. Molti aspetti dell’ideologia nietzscheana saranno riutilizzati, modificati, da d’Annunzio nelle sue opere sia di prosa sia di poesia. Del pensiero di Nietzsche il poeta sceglie infatti solo quegli aspetti che meglio si adattano alla sua sensibilità, alle particolari condizioni dell’epoca in cui vive: la polemica antidemocratica, il senso della decadenza del mondo contemporaneo, l’esaltazione della virtù della stirpe, la bellezza della guerra e della violenza, oltre a ulteriori elementi che possono esser definiti egotistici, come l’esaltazione della vita e dei sensi, l’insindacabilità dell’azione dell’individuo superiore, che si pone al di fuori di ogni limite sociale. Attraverso tali acquisizioni, d’Annunzio riesce a desumere - a proprio modo - la conferma della propria personalità di artista superiore e di uomo libero nell’agire, forte e senza condizionamenti, incarnando così la figura dell’eroe caro alla società reazionaria di d’Annunzio la rivelazione definitiva di se stesso, e in modo tale che sarà impossibile (..) distinguere le immagini della sua umanitàsensuale dal segno di Zarathustra (…) Si ha pertanto una volgarizzazione di Nietzsche da parte di d’Annunzio, che scopre nel filosofo una mitologia dell’istinto, un repertorio di gesti e di convinzioni che permettono al dandy di trasformarsi in superuomo e fanno presa immediatamente in un mondo di democrazia fragile e contrastata, (..) Saranno i borghesi a essere particolarmente influenzati dalle immagini romanzesche di d’Annunzio, che diventeranno come una sorta d’oppio per non vedere la mediocrità della loro esistenza. In comune con il filosofo d’Annunzio possiede il concetto musicale dell’arte, l’idea che la moralità della bellezza risieda nella bellezza stessa e soprattutto che la conquista del vero senso della vita coincida con quello del mondo greco. Per entrambi l’ideale della perfezione estetica diventa missione sociale. Come un novello Zarathustra, d’Annunzio si considera l’uomo colto che con il proprio sapere può aiutare la società italiana a iniziare quel processo di rinnovamento assolutamente necessario per poter far ritornare il paese una grande potenza internazionale. Ma prima del contatto diretto con Nietzsche, è però Wagner che influisce con le proprie opere sulla vita di d’Annunzio. Tale influsso comincia a
sentirsi quando il poeta, ossessionato sempre dall’insoddisfazione personale, comincia a interessarsi alla rigenerazione nazionale. D’Annunzio fa propri gli ideali del musicista, ritenendo che Wagner sia in grado di conseguire con le sue opere la rigenerazione spirituale, fondendo insieme mito, simbolo e bellezza. Nei tre articoli del 1893, apparsi su “La Tribuna” il 23 luglio, il 3 e il 9 agosto e dedicati a Il caso Wagner, è documentata la prima - e forse più spontanea - risposta di d’Annunzio a Nietzsche, soprattutto quando, nel primo di questi articoli, presenta ai suoi lettori il filosofo (praticamente sconosciuto al pubblico italiano)15 definendolo come «uno dei più originali spiriti che sieno comparsi in questa fine di secolo, ed uno dei più audaci.». In Nietzsche d’Annunzio trova la propria medesima convinzione della necessità di una nuova aristocrazia, «lentamente e implacabilmente formata per selezione». Recupera quindi temi già svolti ne La bestia elettiva, infatti prosegue descrivendo quello che per Nietzsche sarebbe il vero nobile, il superuomo: «Ma il vero nobile secondo Nietzsche, non somiglia in nulla agli slombati eredi delle antiche famiglie patrizie. L’essenza del ‘nobile’ è la sovranità interiore. Egli è l’uomo libero, più forte delle cose, convinto che la personalità supera in valore tutti gli attributi accessorii. Egli è una forza che governa, una libertà che si afferma e si regola sul tipo della dignità.». Questa definizione del nobile riprende alcuni aspetti della figura nietzscheana del Frei-Geist (Spirito libero), che rappresenta l’uomo impavido, amante della conoscenza, pronto a rinunciare a tutto per essa. Ma in d’Annunzio manca proprio questa dimensione conoscitiva, il suo Frei-Geist è espresso in termini prettamente volontaristici come una forza esuberante, è la traduzione politica di quello nietzscheano. I tre articoli di d’Annunzio apparsi su “La Tribuna” seguono un pamphlet scritto da Nietzsche nel settembre 1888 che ha il medesimo titolo degli articoli dannunziani (Der Fall Wagner. Ein Musikanten-Problem; Il caso Wagner. Un problema musicale), nel quale il filosofo tedesco attacca Wagner, perché passato dalla musica aristocratica ed eroica del Sigfrido a quella cristiana e decadente del Parsifal. Nietzsche scrive: «il grande successo, il successo di massa, non sta più dalla parte dei genuini - si deve essere commedianti per averlo! - Victor Hugo e Richard Wagner - significano una sola e identica cosa: che in culture di decadenza, ovunque la decisione cada in mano alle masse, la genuinità diventa superflua, svantaggiosa, mette in secondo piano». Nietzsche definisce poi il musicista come «un tipico décadent che si sente necessario nel suo gusto pervertito, che con esso rivendica un gusto superiore, che sa di valorizzare il suo pervertimento come una legge, un progresso, un adempimento.»21 Nietzsche nel pamphlet contro Wagner prevede quindi la degenerazione decadentistica dell’artista e del suo ruolo. Con il passare degli anni la stessa definizione di Wagner data da Nietzsche potrà essere trasportata (non necessariamente con valenza negativa) alla figura dannunziana: sarà d’Annunzio il seduttore degli spiriti, l’incantatore delle masse, il
brillante pubblicista, promotore della vita come spettacolo, dello spettacolo come vita. D’Annunzio nel suo Caso Wagner prende le difese del musicista22 (il poeta scoprendo Wagner contemporaneamente a Nietzsche coglie da entrambi lo slancio per la creazione di una nuova arte, l’arte totale, la Gesamtkunstwerk), anche se questo non gli impedirà di propendere per l’accettazione della filosofia nietzscheana; va comunque tenuta sempre presente la sua posizione critica nei confronti di Nietzsche. D’Annunzio infatti - come già esposto in precedenza - si appropria solamente di determinati aspetti del pensiero nietzscheano, che gli permettono di esaltare la forza creatrice, il ruolo dell’artista, essere superiore alla media degli altri uomini. È forse più giusto dire che questi articoli di d’Annunzio sono in un certo senso il manifesto del suo superomismo, la presentazione ufficiosa del superuomo dannunziano. Tale accettazione dell’ideologia nietzscheana è presente negli articoli, pubblicati sempre su “La Tribuna” il 3, 10 e 15 luglio 1893 su La morale di Zola, nei quali il poeta respinge la pietà, la speranza, la fraternità che caratterizzano invece il Docteur Pasteur zoliano. In questo articolo d’Annunzio pone il problema dell’inquietudine e dell’ansia che travaglia i giovani di quegli anni. Secondo il poeta è necessaria una nuova arte: Perché un’arte nuova fiorisse, perché una nuova credenza cangiasse il cammino dell’umanità, sarebbe necessario un nuovo terreno che a questa credenza permettesse di germogliare e di elevarsi. Zola e il naturalismo hanno fallito e con essi le altre dottrine che cercano di superarlo - come il pessimismo schopenhaueriano e dei romanzieri francesi, l’evangelismo degli scrittori russi - perché non in grado «di conoscere il gran flutto d’idee, di sensazioni e di sentimenti nuovi che si agita alla soglia del nuovo mondo.». Secondo d’Annunzio, tanto il pessimismo sistematico degli scrittori di Francia quanto la recente predicazione tolstoiana, tendono ambedue a un effetto distruttivo. L’uno dimostra l’inutilità di tutti gli sforzi e la spaventosa vacuità della vita; l’altro rinnega ogni civiltà e ogni progresso a beneficio delle idee di rinunzia. Ambedue procedono da una medesima impotenza speculativa d’innanzi al mistero.